CRITICHE
Alice Zannoni
Le opere di Fabrizio Berti si caratterizzano stilisticamente per la semplificazione lineare dei soggetti che hanno sostituito la fisiognomica con un'astrazione dei tratti somatici che li rende tutti identici; i ritratti dei personaggi storici, famosi e popolari, infatti, sono realizzati tutti con una linguaggio espressivo che si ripete: la testa è formata da un cerchio perfetto, gli occhi sono realizzati con due semplici punti neri, il naso è un enorme ovale e la bocca non è presente. Nonostante ciò ogni “personaggio” è diverso ed è riconoscibile, perché l'artista si concentra sulla sulla meticolosa riproduzione dei simboli e degli elementi identificativi.
L'artista, con la scelta poetica di annullare l'espressività dei soggetti, pur non eliminandone la singolarità, trasferisce nella tela un sintomo evidente della società contemporanea: l'identità è un fatto di stile e a farla sono i dettagli, per questo Fabrizio Berti dedica molta attenzione allo studio degli elementi e degli orpelli che costituiscono, come un marchio, l'unicità del personaggio definendone il carattere.
L'analisi della caratterizzazione del soggetto attraverso i dettagli costituisce una parte importante del lavoro, sia nella fase di ricerca che di riproduzione, tanto che la perizia miniaturistica dei particolari costituisce la “firma” artistica. Ne risulta che ogni personaggio viene decontestualizzato e svuotato completamente del suo significato e della ideologia che rappresenta per divenire un’icona storica, una “tag” moderna, un simbolo di se stesso. L'evoluzione artistica della poetica di Fabrizio Berti, ha visto “collocare” i suoi soggetti in ambientazioni e scene spesso ironiche, irriverenti e non prive di sarcasmo, che, in questa nuova visione, diventano protagoniste della narrazione costituendo una nuova lettura della contemporaneità attraverso la ricodifica di fatti storici, leggende, fumetti, scene di film e famose opere d'arte.
L’utilizzo di colori vivaci stesi con campiture piatte, senza sfumature e delimitati da uno spesso contorno nero che simula il tratto grafico richiama la corrente artistica della Pop Art, espressività che, unita alla passione per i fumetti, crea una pittura unica nel suo genere, apprezzata da molti, tanto da far parte di importanti collezioni private.
Alice Zannoni
Il mondo alla rovescia di Fabrizio Berti
Tra il Cinquecento e l'Ottocento nella cultura occidentale prende vigore un tema iconografico chiamato “il mondo alla rovescia”; i soggetti, realizzati sopratutto con la tecnica dell'incisione, godono di una particolare attenzione popolare, non solo perché il mezzo della stampa consente la rapida diffusione delle immagini, ma sopratutto perché ad essere protagoniste della rappresentazione sono scene in cui l'ordine precostituito, che il popolo stesso subisce, viene ribaltato.
Nelle pubblicazioni si invertono i ruoli sociali (il povero fa l'elemosina al ricco), gli schieramenti di genere si capovolgono (la donna imbraccia le armi e difende il castello, mentre il cavaliere usa il fuso) e le gerarchie, emblematizzate sopratutto nel regno animale, vengono stravolte a favore dei più deboli (il bue lavora dal macellaio, il somaro guida il carro, la lepre cattura il cacciatore, la pecora tosa il pastore). La caratteristica principale di queste raffigurazioni è l'irriverenza, la celebrazione dell'estetica del licenzioso e, tra folclore e tradizione popolare, la nascita della cultura del sarcasmo, che apparentemente è una forma di ironia, ma in realtà, come indica l'etimologia “lacerare le carni”, è una figura retorica amara e pungente, volta allo schernire nella direzione del disprezzo e che proprio nella costruzione ilare del paradosso anticipa il cambiamento sociale. Tutte le scene, sebbene siano frutto di un'inversione di senso mossa dalla fantasia, prendono spunto dalla realtà e la dissimulazione della natura ha lo scopo di deridere la minaccia in modo che essa possa essere prima resa innocua e poi abbattuta. Il mondo alla rovescia infatti celebra l'instaurazione della non-norma mettendo in scena, con l'effetto di spaesamento e di trasgressione bizzarra, l’aspirazione a rifare il mondo con un nuovo e migliore ordinamento, modalità operativa che spesso nel rovesciamento delle forze di potere ha prefigurato la rivoluzione.
Le opere di Fabrizio Berti possono essere considerate il corrispettivo contemporaneo delle rappresentazioni del mondo alla rovescia e le sue interpretazioni diventano la metafora di un auspicato o immaginato processo di rinnovamento. Il nesso non si trova solo nello sviluppo narrativo di scene assurde che portano con sé il sorriso provocato dalla gioia di vedere infranto un mondo che si pensava non potesse cambiare mai, ma è presente anche e sopratutto nella percezione positiva dell'alterità. Il tema di un mondo contro-natura che celebra la gioia di fronte al trionfo delle differenze è la chiave per cogliere il senso profondo del ciclo di lavori di Fabrizio Berti: la sua rivoluzione sta, infatti, nel rendere concreto e manifesto, data la semplicità del linguaggio estetico, il cambiamento codificando fatti storici, leggende, fumetti, scene di film e famose opere d'arte, divenute icone del nostro tempo, con lo stesso rapporto satirico con cui le stampe del mondo alla rovescia di epoca moderna si servivano dei modelli della pittura mitologica per criticare i costumi del tempo. Nell'immaginario di Berti la figura dell'eroe (sia esso una persona esistita come Marilyn Monroe, un personaggio frutto della fantasia come Diabolik, una statua inanimata come il Cristo Redentore di Rio de Janeiro o un luogo connotato e conosciuto come l'Isola di Pasqua) si confonde con l'antieroe e ha i tratti del comune mortale vittima della minaccia. Una minaccia che spesso nelle opere assume la forma stilizzata di una bocca dentata che si insinua ovunque, espediente visivo che l'artista ha definito in forma pittorica esorcizzando un incubo ricorrente di quando era bambino.
Il dialogo con i modelli più famosi della storia e l'attualizzazione dei soggetti, mescola elementi di utopia con una raffinata critica e le opere divengono emblema della gioia che si prova di fronte al caos ben sapendo che il grottesco cede il passo al tragicomico perché ogni cambiamento implica un'azione intrusiva che solo con la forza può ristabilire equità sociale. Quando ciò che è considerato sacro viene ribaltato in profano si mette in mostra l'erosione dell'integrità della società e il simulacro lascia spazio al disincanto necessario per mettere in moto la trasformazione, per questo nelle opere è presente una sottile dialettica tra una sensazione di festa e un'immagine di violenza o violazione, ma il vero obiettivo non è la messa in scena della brutalità bensì la valorizzazione del collasso dell'ordine, ciò che è indispensabile per la rivoluzione.
I personaggi di Fabrizio Berti hanno sostituito la fisiognomica con un astrazione dei tratti somatici che li rende tutti identici; se fossimo fedeli agli insegnamenti di Johann Caspar Lavater che nel libro “Frammenti di fisiognomica” individua il carattere di una persona leggendone il profilo, o se fossimo rimasti alle teorie del medico Cesare Lombroso secondo cui il volto è rivelatore dell'indole, avremo di fronte a noi opere che celebrano la spersonalizzazione dell'essere, eppure nessuno dei protagonisti dei dipinti ha perso la riconoscibilità, nessuno di loro si può ascrivere come parte indistinta di una massa conformante. L'artista, con la scelta poetica di annullare l'espressività dei soggetti pur non eliminandone la singolarità, trasferisce nella tela un sintomo evidente della società contemporanea: l'identità è un fatto di stile e a farla sono i dettagli, per questo Berti dedica molta attenzione allo studio degli elementi e degli orpelli che costituiscono, come un marchio l'unicità del personaggio definendone il carattere. La bocca dentata, invece, che risponde alla metafisica della maschera dietro alla quale può nascondersi qualsiasi pericolo, non ha bisogno di rispondere al criterio di una caratterizzazione che va oltre la forma stessa di una tagliola perché essa rappresenta una modalità figurativa e psicologica che replica se stessa in ogni situazione e può pertanto essere incarnata in ogni immagine della mente. Le trappole della psiche, del destino e della storia sono complesse, ma la riduzione all'essenziale elaborata dall'artista è parte integrante del processo di analisi per dissipare ogni timore e instaurare un nuovo stato emotivo. La forma espressiva sintetica con i personaggi e i luoghi stilizzati, bidimensionali, chiusi in un'unica linea che contiene colori vividi e piatti, senza sfumature, è la scelta linguistica che, oltre al contenuto, rende le opere pop, nella traduzione anglosassone di “popular”, così come lo sono state le tavole del modo alla rovescia.
Nel capovolgimento di senso presente nelle opere di Berti, con la reinterpretazione di scene e luoghi concreti che fanno parte dell'immaginario collettivo si assiste a una scena atemporale e universale in cui prende corpo l'attesa di una rivoluzione.
Alice Zannoni
Nimium ne crede colori
-non fidarti troppo del colore- scrive Virgilio nelle “Bucoliche” Perché questa Pop Art non è figlia di un dio minore ma espressione artistica che parla alla gente con un linguaggio diretto e pop_olare, comprensibile e a volte rassicurante non solo di prodotti di massa, ma porta alla ribalta, attraverso questo linguaggio così pop_olare quella cultura che di fatto già ci appartiene perché è dalla nostra storia che queste Icone arrivano. La Pop Art che anima la torre di Castellaro Lagusello è quella di Fabrizio Berti. Anche in questa occasione le mura di questo luogo hanno stuzzicato la fantasia e la testa dell’artista che ne è stato coinvolto. Le scale e i livelli, che le stesse ci aiutano a superare, hanno ispirato e suggerito la struttura del racconto insito in questa nuova istallazione. È un’esposizione che racconta la storia e l’evoluzione di un percorso artistico individuale nato intorno ai linguaggi più vicini alla cultura giovanile come il fumetto, Street Art e Pop Art. Andy Warhol e Roy Lichtenstein saranno un punto di riferimento importante per Fabrizio, ma lo studio dei segni elementari e così efficaci dello street artist Keith Haring hanno dato vita ai personaggi che animano le “Paure” e i “Paesaggi” del suo iniziale percorso. Più pop le influenze che daranno origine ai suoi lavori, icone pop che seleziona tra i personaggi noti che hanno influenzato la sua crescita intellettiva e culturale; è così che attori e cantanti, ma non solo, personaggi politici, supereroi insieme a poeti, scrittori e registi, condottieri e re o regine arricchiscono la raccolta di icone pop del suo produzione artistica con i loro ritratti dal tratto netto che così bene identifica la personalità artistica di Fabrizio, il suo segno. È così che questa Pop Art che Fabrizio ci propone assume una valenza culturale portando alla popolarità personaggi come Virgilio, Isabella d’Este e Pier Paolo Pasolini alla stregua di icone pop quali Marilyn o Capitan America. La Pop Art si scopre essere prodotto culturale che, grazie al linguaggio diretto che la caratterizza, ci parla di quei personaggi che hanno influenzato non solo la nostra immaginazione, ma sono stati anche i maestri che hanno costruito il pensiero e la mente di numerosi tra noi.
Antonella Bosio
Il percorso che propone per la torre di Castellaro Lagusello è una scoperta della sua arte, partendo dai primi lavori fino ad arrivare agli ultimi, dividendoli per piani non solo fisici ma anche di racconto. Amante della Pop Art, del fumetto e della Street Art lo stile di Fabrizio è fresco ed originale nonostante allo stesso tempo la disarmante semplicità lo renda a pieno titolo un ponte di collegamento straordinario a far avvicinare alll'arte contemporanea chi non la ami o non la conosca. Si nota bene la sua volontà di creare uno stile inconfondibile dato principalmente dal tratto nero che contorna le figure e dal gioco di segno utilizzato per caratterizzarle. Se dovessi indicare la cifra stilistica delle sue figure vi direi il naso, una somma di geometria, poesia, arte e in senso buono di mondo infantile. Creando non solo figure ma campi da riempire di pastoso colore. E' evidente come questo artista abbia deciso di indirizzare, (almeno al momento, visto che con gli artisti, non c'è certezza assoluta) il suo sperimentarsi artistico nel divertimento, nel essere scherzoso, nel creare immagini giocose. In Fabrizio non troviamo solo un emozionante miscuglio dei movimenti artistici citati prima, ma c'è il suo universo. C'è il mondo di un bambino fatto dalle paure derivate da lupi dai denti aguzzi e draghi dai terribili aliti nelle storie, alle figurine che si collezionano in tempi adolescenziali, le vignette semplici e satiriche della seconda adolescenza il tutto mischiato e lasciato lievitare agli occhi di un adulto per essere impastato e plasmare una vera e propria opera d'arte.
Benedetta Antonia Salvi
Ritr'Attrazioni
Di cosa parliamo quando ci interessiamo di Pop art? Letteralmente di Arte popolare, movimento artistico nato negli Stati Uniti d’America negli anni sessanta del ‘900 e poi diffusosi in Europa, “basato sulla riproduzione esasperata e deformata, in chiave critica e ironica, dei materiali e dei simboli della civiltà dei consumi”. Se si osserva il lavoro di Fabrizio Berti con attenzione non si può fare a meno di notare che, quantunque i soggetti ritratti siano spesso molto popolari e la chiave sottilmente ironica sempre presente, non vi è nulla che possa con evidenza richiamare il consumismo. Anzi i ritratti, con quella attenzione ai dettagli che costituisce la cifra stilistica dell’artista, parlano con linguaggio rispettoso. Persino nel caso di Hitler che viene trattato con distacco, utilizzando il grigio tono su tono. Piuttosto, per Berti, viene in mente il termine elegante. Mai gridata, la sua pittura ricorda i vividi colori e la lenticolarità di un miniaturista impegnato a studiare il personaggio, ché sempre di ritratti è fatta la materia della sua ricerca. Immagini così perfette nella loro stilizzazione che sopportano di essere osservate dal formato più piccolo a quello più grande. Con un trattamento del colore che ricorda gli smalti cloisonné -tecnica molto antica che consisteva nel predisporre alveoli di metallo destinato a contenere polveri colorate poi lisciate e lucidate- Fabrizio Berti mostra di padroneggiare la tecnica attraverso solide basi culturali. E allora viene il sospetto che l’apparente ”facilità” di lettura di questi ritratti nasca dal desiderio di dialogo, di una relazione ampia col pubblico, che è il vero protagonista, perché alter ego, della poetica bertiana. Ma osserviamoli da vicino questi personaggi che come tratto distintivo hanno tutti lo stesso naso. Non un dettaglio insignificante, ma tratto distintivo, quasi una firma. Vediamo perché. L’olfatto è il senso più immediato perché i messaggi olfattivi non subiscono elaborazioni, ma giungono al cervello integri e dunque, simbolicamente, possiamo accostarlo all’intuito. Secondo il grande musicista russo Igor Stravinsky “Il naso sente un odore e sceglie. Un artista è solo un animale in cerca dei tartufi che il naso gli indica”. Dunque Fabrizio Berti ci trasmette una serie di messaggi, alcuni manifesti altri più sottili e là dove prevale la logica dell’assolutamente riconoscibile essa viene subito bilanciata con la parte meno razionale. Per la sua personale “Ritr’Attrazioni” alla galleria 1 Stile, Berti ha studiato alcuni personaggi celebri di origine mantovana con l’attenzione ai dettagli che sostituisce l’uso delle didascalie: ognuno di loro è riconoscibile e leggermente autoironico. Come dire che tutti si interrogano sul loro ruolo nella Storia, ma soprattutto sulla loro umanità. L’avreste mai detto, a una prima superficiale occhiata, che questo lavoro celasse in sé tanti livelli di lettura? È la bravura, che sempre si accompagna alla modestia, il vero tratto caratteristico del giovane artista trentino, indagatore per istinto, comunicativo per scelta!
Mara Pasetti
Il tocco magico e cartesiano di Fabrizio Berti
Grafico di straordinarie possibilità, padrone di un disegno semplice, ma estremamente incisivo, attento all'evoluzione della società, pronto a sintetizzare, con gusto e ceratività, i dati salienti, più significativi dei suoi personaggi, Berti soffonde le sue creazioni artistiche di una sottile, penetrante ironia. Un soffio di buonumore, alcuni tocchi vivificanti che finiscono nell'immaginario collettivo, i grandi codottieri definiti oggetti semplificati, ma con tocchi semplici ed incisivi. Così i grandi personaggi della storia avvolti nel mito secolare degli eroi sono riportati in terra da un sorriso claunesco, come i loro nasi. Bastano pochi particolari salienti, magistralmente azzeccati, per farli rivivere, togliendo la polvere saccente dei musei: Annibale, come Nelson è un po' guercio, Alessandro mostra nei capelli la giovinezza del generale conquistatore enfant prodige . Scipione l'Africano ha quasi l'elmo di sghimbescio, parecchio fuori ordinanza, il generale russo Zukov ha un medagliere da far invidia a tutte le campagne, messe insieme, dei suoi augusti colleghi e Gustavo Adolfo, punta di diamante della lega evangelica soggiace alla moda spagnolesca del colletto elegante ed inamidato, come i suoi acerrimi rivali cattolici. Dietro ad ogni grand'uomo la ricercata minuzia dei particolari, delle finiture come un provetto miniaturista del passato Medioevo, magari nel celebre monastero di Reichenau nell'isola del Bodensee. Anche le radici montanare e trentine danno vita a boschi incantati della memoria, di un non smentito Dna della tradizione. Di “messer lo lupo” il superiore potere di sintesi dell'artista evidenzia la luna magica, ma soprattutto le temibili zanne predatorie, delle ganasce che levati di un personaggio fiabesco e totemico, come le gallerie e le miniere sfruttate per secoli rivivono in godibile semplificazione moderna: un omino distrutto dalla fatica ed inseparabile carriola. Attento all'”epos” urbano gli utenti della fermata dell'autobus danno vita a gustose, incisive descrizioni, tra il serio del dramma quotidiano di monsieur Travet e l'impertinenza del solito indisciplinato emergente dal canonico cassonetto. Un giovane brillante, il Berti, che nella caricatura ed in scenette gustose per i grandi giornali potrebbe rinverdire i fasti di grandi caricaturisti nostrani e d'oltreoceano. Che il lupo ovvero Mr Woolf non sia destinato a soppiantare il mito di Snoopy? Provaci Fabrizio! Il futuro ed il successo saranno per sempre tuoi!
Maurizio Conconi
Grandi Condottieri e piccoli esploratori
L'Assessorato alla Cultura del Comune di Padova organizza la mostra Fabrizio Berti. Grandi Condottieri e piccoli esploratori. Il giovane artista espone nella Galleria Samonà oltre 20 dipinti, realizzati dal 2013 al 2015, e altre installazioni artistiche. “I ritratti di questi personaggi storici vengono rivisti in chiave pop-ironica attraverso uno stile semplice e diretto, molto simile al fumetto, arte liberatoria che diverte e induce volendo a qualche riflessione di contorno” commenta l'Assessore alla Cultura Matteo Cavatton. Di fronte all'abiezione della storia, ad un passato orrendo, che pure continua a ripercuotersi sul presente in tanti modi, l'unica rivalsa che ci si può permettere è depotenziare con l'ironia e il ridicolo quei condottieri, quei leader spesso molto osannati in certi momenti del loro excursus vitae, comunque celebrati nel loro protagonismo nei libri e nelle riviste di storia, nei media e a scuola. L'operazione artistica riesce grazie a una tecnica che si ispira in modo evidente alla pop art di Keith Haring e ai ritratti dell'astrattismo contemporaneo, ma riesce ad essere personalissima grazie al tratto grafico, quasi fumettistico ma non scarno, ai colori vivaci e mai sfumati. Il fulcro della sua inconfondibile tecnica è l'espediente ripetitivo nella rappresentazione dei personaggi, che vengono parificati nella loro fisionomia facciale, quasi a significare che il male nella storia si presenta come una costante, sempre uguale, come un vuoto che deriva da una assenza di pensiero. Difatti l'artista riesce arendere riconoscibili i personaggi storici attraverso una meticolosa riproduzione di alcuni dettagli identificativi; alla mancanza di originalità del loro volto, accentuata dal nasone sempre uguale e claunesco, i personaggi sono costretti a sopperire facendosi riconoscere con gli orpelli del potere (fregi e medaglie, abito, copricapo, acconciatura). “Dalla storia cerco di vedere un'umanità che continua ad interrogarsi sul senso della propria esistenza che spesso rimane nascosto, ecco perché mi diverte a scovare il lato ironico, perché l'arte in fondo serve a questo” questa è la visione dell'arte, a cui si ispira l'autore. Con la scultura e altre installazioni artistiche Fabrizio Berti si cimenta sui temi del piacere e della paura irrazionale, per esorcizzarli con linguaggio tra il comico e l'astratto.
Emanuela Taglietti
Cromatiche vibrazioni
Il ritratto artistico dal suo esordio in qualsiasi punto lo si collochi temporalmente, ha indubbiamente subito trasformazioni. Nonostante ciò è rimasto sempre tre il numero delle “entità” coinvolte: il soggetto ritratto, l’artefice e l’osservatore ( W. Waetzold ). Certo Fabrizio, l’artefice, non mira alla somiglianza superficiale del soggetto ritratto, a cui siamo comunemente abituati quando pensiamo a questo genere, quanto piuttosto alla definizione dei caratteri identificativi, studiati con cura, siano essi distintivi di figure “angeliche” o “demoniache”. Berti si affida per questo ad una stilizzazione, resa mediante una pittura a tinte piatte, dove i personaggi sono immobili nelle loro strutture scheletriche, riportati alla condizione elementare di uomini. Ricordando in parte A. Wahrol e in parte K. Haring, il lavoro di Fabrizio quindi pone di fronte all’osservatore una umanità in forma ironica e quasi-caricaturale, puri ideogrammi per incuriosire l’osservatore, provocandolo in possibili suggestioni o fascinazioni, potendo liberamente ciascuno dare per un istante un giudizio sulla Storia.
Andrea Gorgato
Un'immagine stilizzata, minimalista, colori puri, contorni definiti: ecco l'arte di Fabrizio Berti. Insieme al giovane artista abbiamo scelto una serie di opere che lo caratterizzano e lo rendono unico nel panorama artistico contemporaneo. E' difficile non riuscire ad attribuire, a prima vista, la paternità dei suoi ritratti e dei suoi paesaggi. Nell'esposizione ospitata alla Galleria Comunale d'Arte Contemporanea "Ai Molini" si è dato il giusto riconoscimento ad un artista ed al suo linguaggio artistico decisamente attuale: un giovane poeta del colore e dei tratti puri che si affaccia all'arte in maniera particolarmente innovativa, non tradizionale e che sarà apprezzato anche dai giovani visitatori della nostra sede espositiva cittadina.
Ketty Fogliani
Il fascino della storia e l'irriverenza del linguaggio contemporaneo
Con il suo stile personalissimo, iconico, ironico, irreverente, che deve molto al linguaggio pop di Keith Haring e ai ritratti seriegrafici di Warhol, Fabrizio Berti approda a Green Call con un mix insolito dei suoi lavori più conosciuti: i celeberrimi ritratti-icona di personaggi controversi della storia, i quadri-allegoria di paure e fobie personali dell'autore tradotti anche in scultura, e i meno visti ma più vistosi ritratti erotici del Sexy Game, una sorta di parodia pittorica sulle tecniche dell'antico Kamasutra.
La pittura di Fabrizio è ormai nota come un'originale reintepretazione delle icone storiche, rielaborate in chiave ironica attraverso uno stile contemporaneo quasi digitale, che vede ogni singolo personaggio ritratto trasformarsi in niente meno che lo scheletro ideografico di sé stesso: la TAG moderna (uomo icona riconoscibile come firma) interpreta umoristicamente un personaggio pubblico della storia, svuotandolo completamente di quell'ideologia dolorosa o emotivamente densa che tale personaggio incarna. I personaggi storici sono riconoscibili attraverso la meticolosa riproduzione di alcuni dettagli identificativi, (medaglie, acconciatura, abito, copricapo...) ma i “buffi” omini di Fabrizio non fanno più paura a nessuno, non sono in grado di esercitare più nessun potere, paura o piacere su di noi...è il ricordo di ciò che essi hanno rappresentato e significato per noi a coinvolgerci emozionalmente. La pittura di Fabrizio Berti è il trionfo del linguaggio contemporaneo astratto, che spersonalizza e riduce tutto al suo essenziale: se la storia ha caricato i suoi personaggi con strati e strati di significati complessi, Fabrizio li ha spogliati e messi in mostra per ciò che sono realmente...solo uomini. In fondo tutti uguali! Impossibile non sorridere o provare vera e propria simpatia dinnanzi ai suoi coloratissimi ritratti, che ci osservano dalla tela come i pezzi di una rara collezione di francobolli. Ci sono le star dello schermo, i grandi dittatori, i martiri e le icone religiose, i condottieri, i politici, gli eroi e perfino i pionieri della tradizione altoatesina. Tutti uguali, stilizzati, astratti col nasone. Eppure ognuno di loro diventa unico nel momento in cui l'artista lo veste a puntino: è l'abito/divisa/marchio distintivo a far scattare il processo di riconoscimento e a trasformare l'essere umano in personaggio storico amato e odiato. E' l'accessorio, l'ornamento a caratterizzarne la qualifica e lo status sociale. Questo piccolo gesto furbo mette lo spettatore in una posizione scomoda nei confronti della storia e della percezione che noi abbiamo di essa: quanto siamo veramente in grado di capire, giudicare, valutare quando si tratta di passato, guerra, media, religione...e come fare a distinguere la realtà storica dalla sua semplice percezione se facciamo perfino fatica a distinguere un'immagine reale dal suo simbolo? Fabrizio sollecita velatamente gli interrogativi senza dare risposta alcuna...un po' perchè probabilmente non ce n'è una e un pò perchè la sua risposta preferita è l'ironia.
Con la stessa ironica irriverenza, Fabrizio da corpo alle più abbiette, volgari, intriganti fantasie erotiche dei tempi moderni con il suo Kamasutra dei tempi odierni trasformato in Sexy Game astratto. Allestito all'interno della Stanza verde nel giardino dell'amore i tantissimi fotogrammi dei giochini e delle posizioni sessuali assumono una connotazione più che mai moderna e totalmente in contrasto con gli elementi naturali della stanza, che ha le pareti fatte letteralmente di alberi verdi. L'artificiale e il naturale dilogano quindi non per comunione di materiali ma attraverso un messaggio comune: entrambi identificano lo spazio come il luogo dell'amore. Sempre grazie alla presenza dell'accessorio complementare il linguaggio astratto di Berti è riconoscibile come contemporaneo..una scarpa, un dildo, indumenti intimi, titolo buffo, o semplicemente un classico del porno. Ma anche laddove i protagonisti nudi sono indistinguibili fra loro, è il linguaggio stesso del comic a rendere il tutto assolutamente attuale! Tutti da ridere i “sexy francobolli“, che conquistano specialmente per la monocromia del rosa pink su sfondo nero, ricordandoci che si parla di sesso “caucasico” con qualche intervento qua e là di brown e yellow! E per gli amanti del genere....fetish e bondàge a volontà! Geniale anche l'installazione esterna alla camera dell'amore: Vojeur è un cubo di legno con spioncino per “spiare dal buco della serratura” ciò che lo spettatore si ritroverà di fronte una volta varcata la soglia.
Ebbene sì non è solo un pittore... Fabrizio si è sentito ispirato dalla location e dopo aver scovato una nicchia misteriosa scavata nel terreno dei giardini ci ha messo “La bocca” dentro! O meglio, la mamma bocca e le piccole bocche che la inseguono, sfuggono, gironzolano in cerca di cibo! Affamate coi denti aguzzi, le bocche in legno di Berti sono il ritratto tridimensionale di una delle sue maggiori paure e fobie: quella di essere mangiato! Le ritroviamo in forma pittorica in alcuni suoi quadri allegorici in cui l'omino astratto-alterego trascende le paure recondite dell'artista cadendo, morendo, ferendosi e facendosi male in tanti modi e scene differenti. Divertenti e giocose con quello stile astratto inconfondibile, le bocche di Berti sono i pac man del suo personale mondo onirico, che inseguono il soggetto senza dargli fiato tormentandolo con visoni angoscianti! Lo stile iconico di stampo digitale permette a noi altri di ricordare con un sorriso i vecchi videogame della generazione Berti, che insieme al potere e al piacere ha esorcizzato anche la paura!
Petra Raffaelli
TORCEGNO – Di fronte al male, l'unica cosa che rimane da fare è renderlo ridicolo. Da questa visione della realtà Fabrizio Berti, 33 anni, artista di Torcegno “ma di arte non si vive e allora faccio anche altro”, ha creato una pittura che spazia con successo tra pop art e fumetto. Prima la scuola d'arte, poi l'Accademia belle arti a Verona, Berti ha percorso un viaggio pittorico che lo ha portato a raccontare i potenti della storia in un modo ironico e goffo, facendone risaltare il lato più ridicolo. Questo lavoro si chiama ”Destra o Sinistra?” e prende spunto da una famosa di Giorgio Gaber. “L'arte non può cambiare il mondo ma può contribuire a mutare la coscienza e gli obiettivi di coloro che potrebbero cambiarlo” dice citando Marcuse. Ecco allora Mussolini, Mao, Hitler e Fidel Castro dipinti con colori vivaci un contorno nero che ricorda i fumetti, mettendone in risalto il lato più ridicolo. “I miei quadri cercano di smitizzarli, facendoli apparire sberleffi della storia”. Ma non sono caricature, dice un critico delle opere di Berti, “funzionano all’incontrario, alleggeriscono questi personaggi di tutta la zavorra del male che hanno rappresentato, sono allora delle s/caricature, e in questo senso ideogrammi, in quanto ne rappresentano l’ideologia negativa che hanno inventato e diffuso meno tutto il realismo di incarnazione diabolica che hanno incorporato e impersonato. L’ideologia vera e propria di questi eroi del male non potrebbe mai essere rappresentata nell’estremismo effettuale raggiunto se non tramite il linguaggio delle caricature; queste si prestano a quelle esagerazioni grafiche che sono le uniche deformazioni capaci di esprimere l’anormalità morale e disumana di questi esseri tristi e amari del novecento”. Ma i lavori di Berti che fra poco aprirà due mostre a Trento: al Palazzo della Regione dal 28 marzo al 10 aprile e al Palazzo delle Albere dal 21 al 25 aprile, sono affollati di tante persone come la collezione dei personaggi che hanno fatto grande il Trentino, oppure i musicisti maledetti come Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse, raccontati sempre con uno stile inconfondibile. Insomma angeli e demoni che in estate saranno a Padova e in autunno in alcune gallerie in Emilia. “Dipingere per me è essenziale - racconta – e mi dà forza”. Il grande lavoro di Fabrizio Berti è nel dettaglio, nella perizia e nella cura in cui i suoi lavori non si riducono solo a meticolosità formale ma diventano veri e propri riferimenti storici nel senso più pieno e completo del termine. “Dalla storia cerco di vedere un'umanità che continua a interrogarsi sul senso della propria esistenza che spesso rimane nascosto, ecco perché mi diverte a scovare il lato ironico perché l'arte in fondo serve a questo”.
Luigi Longhi
Esploratori, imperatori, intellettuali, uomini di chiesa, compositori, patrioti, pittori, poeti e politici. Uomini che hanno segnato quasi 5000 anni di storia del Trentino Alto Adige, territorio unico, allo stesso tempo unito e diviso dalle montagne e dalle vicessitudini storiche. Uomini che in questa sede e in occasione della mostra “La verità della storia” si ritrovano, come seduti intorno allo stesso tavolo, in un convivio che va oltre lo spazio e il tempo, che va oltre la storia. Li possiamo vedere accomodati uno di fronte all'altro a disquisire del bene e del male, della politica, della società e della cultura. Un salotto esclusivo e colorato, dove eteregeneità e diversità, qui rappresentate dalle variegate peculiarità dei personaggi (diversi periodi storici, diversi pensieri, diverse modalità di azione), costituiscono gli ingredienti di una ricetta fondamentale e imprescindibile di un futuro attuale. E in questa attualità del futuro si gioca il senso di ciò che questi personaggi rappresentano andando oltre se stessi. Da un lato rappresentano la ciclicità della storia come susseguirsi, attaverso corsi e ricorsi, di eventi simili in periodi diversi, di motivazioni e spinte individuali come motori della civiltà: ambizione, spirito avventuriero, legame con la montagna: Ötzi e Reinhold Messner; impegno religioso: San Vigilio e Bernardo Clesio; patriottismo: Andreas Hofer e Cesare Battisti; interpretazione artistica del mondo: Andrea Maffei, Giovanni Segantini e Riccardo Zandonai. Dall'altro lato, a ben vedere, questi personaggi mostrano l'antitesi di ciò che rappresentano: le vesti, i simboli, i colori, gli accessori che li identificano e li differenziano l'uno dall'altro sono semplici apparenze, elementi superficiali che nascondono, almeno in parte, ciò che li rende tutti uguali, vale a dire la propria e intrinseca condizione umana. I volti e i corpi dei personaggi dipinti da Fabrizio Berti sono tutti uguali, un pò stereotipi e un po' caricaricature, simulacri che dietro le vesti rivelano e coincidono con la semplicità di ciò che sono autenticamente. Ecco dove risiede il grande lavoro di Fabrizio Berti, giovane pittore trentino. Del dettaglio, della perizia e della cura fa la sua cifra stilistica ma il suo impegno artistico non si conclude qui. I suoi lavori non si riducono solo a meticolosità formale, diventano veri e propri riferimenti storici nel senso più pieno e completo del termine. I soggetti dei quadri sono caricature di personaggi illustri dell'area geografica a nord-est dell'Italia e affacciata verso l'Europa Centrale di cui ne riassumono e ne raccontano le vicissitudini, ma nello stesso tempo sono pietre miliari di una storia che ci accompagna e di un'umanità che continua a interrogarsi sul senso della propria esistenza, quel senso che spesso rimane ambiguo e celato dal continuo gioco di rimandi tra forma e contenuto, tra dati di fatto e congetture, tra realtà e finzione, tra vero e falso.
Massimiliano Gianotti
Non sono caricature, funzionano all’incontrario, alleggeriscono questi personaggi di tutta la zavorra del male che hanno rappresentato, sono allora delle s/caricature, e in questo senso ideogrammi, in quanto ne rappresentano l’ideologia negativa che hanno inventato e diffuso meno tutto il realismo di incarnazione diabolica che hanno incorporato e impersonato. L’ideologia vera e propria di questi eroi del male non potrebbe mai essere rappresentata nell’estremismo effettuale raggiunto se non tramite il linguaggio delle caricature, queste si prestano a quelle esagerazioni grafiche che sono le uniche deformazioni capaci di esprimere l’anormalità morale e disumana di questi esseri tristi e amari del novecento. Ma le caricature hanno l’effetto di far ridere, e dunque di scaricare la drammaticità che ne è stata vissuta tramite il capovolgimento della relazione che ne è stata vissuta: il problema del rapporto della vittima e del carnefice non è mai stato risolto in questo modo, nemmeno in chiave psicoanalitica. Freud racconta che il riso ha proprietà liberatorie, e tuttavia il fondo traumatico continua nella sua turbolenza e nella sua stessa fascinazione oscura, perché la memoria non si perde e la rimozione è soltanto episodica. Solo l’arte scioglie ogni soggezione al male, quando, come in questo caso, alla realtà si toglie realismo e al realismo si toglie la veste simbolica, così quel che ne resta perde la potenza e la volontà di potenza e l’immagine diventa la cifra senza schermo e senza animazione. La rappresentazione fredda che in questo caso l’artista fa del personaggio arriva all’ideogramma dell’idea del male, il cui schema non perde l’ammonimento a memoria che ne resta, ma anziché minacciare adesso diverte, perché la cosa è diventata una cineseria, e cioè una decorazione di cui non è più possibile leggere il senso e il cui destino è quello di diventare carta da gioco. Alla fine, il senso dell’immagine è quella non di teste ma di teschi, solo che l’aspetto funebre viene mascherato nel gioco della sigla che l’immagine sposta sull’ideologia: queste teste sono allora scheletriche ma non anagrafiche, perché tutto sommato il gioco comico viene portato non sul personaggio ma sulla personificazione e cioè sulla figura ideologica del personaggio, sull’impressione ideo-somatica che ne è rimasta nella storia: come se queste teste fossero teste in formato ideologico, anatomiche ma in senso figurato, cifrate e decifrate in piccoli segnali simbolici di caratterizzazione. Diventano allora delle teste-sigle, piccole icone pubblicitarie: l’idea di Andy Warhol era di creare un classicismo pubblicitario, secondo un certo rinascimento dell’immagine, ed era l’idea americana di una merce totalitaria, vuota, consumistica ma immortale. Qui l’idea è un’altra, più europea, più leonardesca, quella di realizzare uno spettro frivolo e funebre, perché l’artista - come già faceva Leonardo - prende il personaggio e ne disseziona il cadavere, solo che lo riscrive in chiave ideologica, ne disegna gli organi concettuali, i segnali leggeri e semplici per il gioco della commemorazione.
Salvatore Fazia
They are not caricatures, they work the other way, relieving these characters from the dead wood of evil they represented. They are un/caricatures, and in this sense ideograms, as they represent the negative ideology they invented and spread but without the realism of evil incarnation they incorporated and embodied. The real ideology of these heroes of evil could not be represented through the effectual extremism reached, but for the language of caricatures, which lend themselves to the graphic exaggerations that are the only deformations capable of expressing the moral and inhuman abnormality of these sad and bitter beings of the twentieth century. But caricatures have the effect of making people laugh, and therefore to unburden the drama that was experienced by reversing of the relationship that was experienced: the problem of the relationship of the victim and the executioner has never been resolved in this way even in psychoanalytic key. Freud said that the laugh has liberating faculties, yet the traumatic nature continues with its turbulence and its obscure fascination because memory can’t be lost and removal is only episodic. Only art melts all subjection to evil when, as here, reality is removed of realism and realism is removed of its symbolic covering. What remains loses power and the will for power, and the image becomes the figure without shade and without animation. In this case the cool representation the artist does of the character is an ideogram of the idea of evil. Its outline does not lose the warning to remembering that remains, but instead of threatening, now it amuses because it has become a chinoiserie, a decoration whose meaning can’t be read and whose destiny is to become a playing card. Eventually, the meaning of the image is that of skulls instead of heads, but the funereal appearance is disguised in the game's theme, that the image moves to ideology. Therefore these heads are skeletal but not registered figures, because after all the comic game is put not on the character but on the embodiment, i.e. on the ideological figure of the character, on the ideo-somatic impression that remained in history of him. As if these heads were heads in an ideological form, anatomical but in a figurative sense, encrypted and deciphered in small symbolic characterization signs. Then they become acronym-heads, small advertising icons: the idea of Andy Warhol was to create an advertising, classical, according to a certain image renaissance. It was the American idea of totalitarian, empty consumerist but immortal goods. The idea here is another, more European, more as Leonardo’s view: to realize a frivolous and funeral spectrum, because the artist - as Leonardo did - takes the character and dissects his corpse, only he rewrites it in an ideological key, he designs its conceptual bodies, light and easy signs for the game of commemoration.
Salvatore Fazia
TORCEGNO – Da Sandokan a Mao Tse-Tung il passo è breve. A poche centinaia di metri dalla casa che nel 1897 diede i natali a Francesco Raffaele Chiletto, illustratore di Topolino, Corriere dei Piccoli e dell'intera saga di Emilio Salgari, affila i pennelli l'erede del grande fumettista trentino che fu la “penna” di Emilio Salgari. Si chiama Fabrizio Berti, ha 24 anni ed in tasca un diploma in pittura dell'Accademia di Belle Arti “G. B. Cignaroli di Verona.
Giovane e determinato, Fabrizio Berti, a fare di tele e pennelli la sua professione. Ama Keith Haring, il profeta della cultura di strada che diede colore agli slum di New York. É attratto dal “fascino” dei dittatori del mondo, ai quali ha dedicato 13 tele nell'ultima “Notte bianca” di Schio. Mussolini, Franco, Mobutu, Ho Chi Minh, Hitler e Mao Tse-Tung, che assieme ad ventina di camicie nere e guardie rosse per parte saranno anche i protagonisti di “Destra e Sinistra”, la personale che la galleria LOFTarte di Valdagno (VI) dedicherà tra qualche settimana al giovane artista trentino.
“Mi piace il tratto stilizzato perché semplice e diretto”, spiega Fabrizio Berti. Le sue ultime scene riprendono molto del patrimonio fumettistico del Novecento: Sergio Bonelli, Milo Manara, Andrea Pazienza, Guido Crepax. Personaggi essenziali, abbozzati in poche linee, che per riconoscerli basta un dettaglio. I baffi a staffa di Adolf Hitler, la barba lunga di Osama Bin Laden, il copricapo leopardato di Mobutu. Colori forti, scelti accostando tinte decise. Sono ideogrammi. “Non caricature – scrive il critico Salvatore Fazia nel saggio che Fabrizio ha appeso alla porta del suo studio - funzionano all’incontrario, alleggeriscono questi personaggi di tutta la zavorra del male che hanno rappresentato, sono allora delle s/caricature”.
Sul tavolo rotondo del laboratorio al piano terra della casa dove vive con papà Rino, mamma Flavia e le sorelle Romina e Sara, a Maso Sartoretti, Fabrizio Berti tiene l’ultimo quadro che profuma ancora di colore. “Uso l’acrilico – spiega – steso con pennelli su tele povere. Vecchie lenzuola o scampoli di biancheria sgualcita, che vengono poi tesi su piccoli telai in legno realizzati in casa, nel laboratorio di falegnameria di papà”.
Quanti quadri ha realizzato? “Sinceramente non li ho mai contati – confessa Fabrizio – saranno circa 200”. Una ricerca raffinata, la sua, che spesso nasce per caso. “Da uno schizzo, un segno che mi appunto su un pezzo di carta – spiega – e che poi elaboro a penna dopo una meticolosa ricerca bibliografica, necessaria per studiare il soggetto, coglierne la personalità, individuarne il tratto distintivo”. Come la luna piena che cede un morso del suo giallo al cielo nero. Un marchio di fabbrica per Fabrizio Berti. Ma non chiedetegli perché. È il suo segreto.
Davide Modena
L’opera di Fabrizio Berti non è elitaria, aristocratica, sottile né riservata.
Nulla di tutto questo.
Popolare, colorata, impertinente, democratica nell’accezione originaria di “pubblica”, insolente senza scadere nel cliché.
Questa la sua vera natura.
L’arte di Fabrizio Berti riprende le forme semplici e stilizzate dell’arte di strada dei primi anni ottanta, dalle campiture piatte bordate di nero, coloratissime, dei personaggi di Keith Harring, alla tecnica cloisonné del fumetto.
Il messaggio che però Berti vuole lanciare non pretende di essere un dogma universale né tanto meno i suoi “dittatori”, hanno la pretesa di voler farsi portavoce di una velata critica contro il sistema politico.
Non sono i grandi drammi legati al malfunzionamento, alla corruzione, alle erronee prese di posizione dei governi quelli espressi dall’artista nelle sue opere. Il disagio non è legato a guerre, fame nel mondo, pulizie etniche; quanto piuttosto alla dimensione intima del sentirsi un giovane tra giovani incapaci di agire, di ribellarsi per qualsivoglia ideale, sia esso pubblico o privato.
I suoi primi lavori rappresentano personaggi-icona strappati alle proprie epoche e che con esse hanno perduto ogni legame. Fuori dal tempo e dallo spazio, Charlie Chaplin, Babbo Natale, Hitler rimangono pure figurazioni di ciò che esemplificano nell’immaginario collettivo: comicità, tradizione, potere. Tre stereotipi che corrono spesso sullo stesso binario.
Da questi primi archetipi di un mondo a metà tra realtà e fantasia, l’artista passa alla rappresentazione dell’inerzia giovanile odierna tramite la serie dei “dittatori”. Queste figure che tanto timore destarono in diversi momenti storici, risultano qui svuotate di qualsiasi dignità, prive di ogni onore ed austerità. Ciò che ispirano nello spettatore è piuttosto spiritosaggine e un forte senso del ridicolo, forse gli unici sentimenti suscitati oggi da questi tiranni, stereotipi che si innalzano fieri come idoli ma non sono che l’emblema di chi possiede un immenso potere e si ritrova poi incapace nel gestirlo.
Questa la situazione della nostra gioventù, molti mezzi a disposizione ma scarsa capacità di utilizzarli per far sentire il disagio, per attuare la nostra, personale ribellione.
La nostra volontà rimane tale solo in potenza, non prende forma, non grida abbastanza forte, vive nell’ombra di chi, in altre epoche e altri contesti, ha almeno provato a far cambiare le cose, a lasciare il proprio segno, non importa con quali risultati. Noi che cosa facciamo? Ci lamentiamo…
Siamo un po’ come quei dittatori impettiti e rigidi sull’attenti ai quali il potere ha portato due conseguenze: li ha immobilizzati ora e ora ha dato loro alla testa.
Marta Fraccarolo
Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra? Da Kai Shek a Traorè, passando per Ceausescu... Fabrizio Berti interroga i grandi dittatori.
“Ma cos'è la destra, cos'è la Sinistra?”: è questa la domanda che poniamo ai dittatori del passato e del presente disegnati da Fabrizio Berti, ed esposti dal prossimo 9 giugno presso l’Antica Pieve di Grigno, all'interno della mostra curata da Aurora Minati e Francesco Azzolini.
La risposta è celata in una serie di piccole tele dipinte con l'acrilico, grandi campiture piatte e colori accesi, animate dai grandi personaggi del passato che stavolta appaiono svuotati di tutta la loro austerità e caricati invece di un'ironia insospettabile. Non fanno più paura, piccoli e familiari come fumetti, divertenti come le opere di Keith Haring, popolari come le icone di Warhol che campeggiano su borsette e T-shirt. I personaggi di Fabrizio superano le ideologie per andare oltre a questa eterna dicotomia e tuffarsi nel mondo dei cartoon, dei disegni stereotipati dei bambini dai tratti puliti e diretti. Poche linee costruiscono personaggi essenziali e per riconoscerli basta un dettaglio: il copricapo di Saud, il punjabi di Traorè, i baffi di Hitler.
Dietro al colore e all'ironia un'accurata ricerca bibliografica sui grandi del passato e un giovane col pizzetto nato a Torcegno, che ha scelto di fare il mestiere più antico del mondo... l'artista. Le sue opere nascono da piccoli schizzi realizzati a penna, appunti, pochi segni fatti con le matite colorate che prendono poi forma su tele povere, realizzate con vecchie lenzuola nello studio sotto casa, a Maso Sartorelli.
Una passione che nasce con Fabrizio e con i suoi primi disegni a scuola, dei quali non si è ancora persa la freschezza, e che cresce all'Istituto d'Arte di Trento e si affina all'Accademia di Belle Arti di Verona. “Col mio lavoro” spiega Fabrizio “cerco di trasmettere un’emozione, non importa se sia positiva o negativa. L’importante è che riesca a far pensare, a far emergere un ricordo, a far ridere o piangere, a far riflettere sul mondo in cui viviamo, agli errori fatti nel passato per evitare di farne altri o addirittura dimenticarsi di quelli fatti”.
Una mostra progettata per emozionare quindi, per divertirsi, divertire e far riflettere... Per una volta, alla domanda “Sei di destra o di sinistra?” decidiamo di prenderci in giro. Le risposte le lasciamo a Giorgio Gaber, perché in fondo “L’ideologia, l'ideologia, malgrado tutto credo ancora che ci sia è il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché con la scusa di un contrasto che non c'è se c'è chissà dov'è, se c'è chissà dov'è....”..
Aurora Minati
“L’arte non può cambiare il mondo
Ma può contribuire a mutare la coscienza e gli obietti vidi coloro,
uomini e donne, che potrebbero cambiarlo”
(Marcuse)
Si comincia a ridere della destra e della sinistra, stanno forse finalmente uscendo dalla storia, stanno meglio nella satira. Già Gaber s’era domandato ma cos’è la destra, cos’è la sinistra, e aveva già notato che la gente è poco seria - quando parla di destra o di sinistra, segno che stava già montando la satira.
Fabrizio Berti la satira la porta in pittura, nella fattispecie del gioco perché ormai non mordono più: destra e sinistra servono non più che al mondo delle figurine, Hitler o Mao Tse Tung, Stalin o Mussolini, precipitano nella iconografia ridicola delle marionette o delle icone del teatrino dei pupi. Diventando essi stessi dei pupi, questi avventurieri della storia adesso ritrovano una sorta di infanzia dalla quale fanno invano dei sogni proibiti. Con loro, più ridicoli e più piccoli, i loro stessi eroi di servizio, gli eserciti in confezione giocattolo: guardie rosse o esse esse, da una parte e dall’altra, non sono più grandi di birilli. E i birilli diventano ridicoli quando fanno il viso dell’arme. La loro stessa misura li abbassa al ruolo di embrioni immaturi e inibiti, armi in pugno.
E’ sintomatico il processo della costruzione iconografica di questi capi e dei loro nani: la semiotica è identica, cerchi e semicerchi per inscriverne i volti, un ciondolone come simbolo del muso e poi al posto del cervello e del cuore, della testa e del petto, il vestiario ideologico in formato ridotto. E i loro nani feroci in divisa di servizio, nello schema-versione di non più che accendini della guerra.
Ma, cos’era la destra?
“La catastrofe probabilmente è cadere nell’estetica” è l’idea di Roland Barthes, ma più probabilmente è prima l’idea di Hitler a destra – Hitler era un pittore - e di Mao a sinistra – da giovane Mao era un cultore di libri, un letterato, quasi.
Due esordienti della rivoluzione culturale, due professionisti della involuzione culturale.
Fabrizio Berti li porta in galleria, loro e le loro due estetiche, apparentemente diverse, apparentemente contrarie. In catalogo figurano rovesciati: niente davanti e dietro, copertina e retro-copertina, ma, indifferentemente, da una parte i neri – i capi, le loro truppe -, dall’altra i rossi, capi e truppe. Ironicamente intercambiabili.
Innominabili, le cose.
Per esempio.
Hitler scrive il Mein Kampf, e inventa una bio-estetica, di razza, secondo il canone classico della imitazione della natura. Dice: “verrà allevata una gioventù che spaventerà il mondo. Io voglio una gioventù che compia grandi gesta, dominatrice, ardita, terribile. Gioventù deve essere tutto questo. L'animale rapace, libero e dominatore, deve brillare ancora dai suoi occhi”. E, ancora: “Il gioco della guerra consiste nella distruzione fisica dell'avversario. Per questo vi ho ordinato di massacrare senza pietà qualsiasi uomo, donna o bambino che non appartenga alla vostra razza. Così soltanto potremo ottenere lo spazio fisico che ci abbisogna”. Oppure: “Troverò qualche spiegazione per lo scoppio della guerra. Non importa se plausibile o no. Al vincitore non verrà chiesto, poi, se ha detto la verità. Nell'iniziare e nel condurre una guerra non è il diritto che conta, ma il conseguimento della vittoria”, e infine: “Non si può parlare né di uguaglianza né di fraternità tra gli uomini; tali idee sono inaccettabili perché contro natura. E' giusto invece che certi individui e certe razze - quelli superiori - si impongano sugli altri e li costringano a obbedire”.
Da cui Auschwitz, eccetera.
Anche Mussolini inventa la sua estetica, ma si perde nel gioco delle parti, e chi non l’ha visto non riesce a credere che la sua più che una politica era un’estetica del gesto, della voce, della mise e della rappresentazione. Un classicista il dux, un classicista di provincia che gonfia il petto e si doppia: gioca allo specchio come il bambino di Lacan che si atteggia perché s’accorge dell’io… se ne replicano ancora i valori in certi gadget e in offerta speciale che ne istoriano bene la gloriola: una Tshirt nera modello Decima MAS o bianca Volto del Duce; una Felpa modello Me ne frego e una tutta Credere-Obbedire-Combattere, e varianti: con Boia chi molla, Duri e Incazzati, Molti nemici/Molto onore; se no Polo nera con Aquila e Fascio o Bianca modello Italia; Sciarpa Onore e Fedeltà, Ciondolo Ascia bipenne, Spilla tricolore, Toppa del Duce o Toppa con scritta Onore e Fedeltà, Bandane e Foulard e scritta: Con noi o contro di Noi, o modello Benito Mussolini o modello nero Leonessa, Cravatte con M di Mussolini o Aquila con Fascio, Bandiera Marcia su Roma o Tricolore e Fascio, Polsini del Duce, Cofanetto con portafogli e portachiavi in pelle abbinati con effige del Duce, ecc. ecc.
Non è un gioco?
Fabrizio Berti ne dipinge anche l’ala militare e la distribuisce nell’estetica dei monotipi che dicevamo. SS o Camicie Nere, a parte il differenziale di tragicità, in positivo erano biunivoci, duplicabili come pezzi di ricambio.
L’artista li distribuisce a schiera, li butta in ridere, e ridendo castigat mores.
Salvatore Fazia
“E solo coloro che sono lontani dal potere,
rinchiusi nel tepore della loro camera, delle loro meditazioni, questi solo
possono scoprire la verità”
(Foucault)
Specialmente in un momento come il nostro che la corsa al potere – complice la religione - è la corsa al centro, al contrario di come era cominciata, quando nell’agosto del 1789 la rivoluzione francese, e sempre sulla religione, si era divisa ai due lati, in destra e sinistra: è così che con l’involuzione-evoluzione attuale – complice la religione – è il cerchio della storia che si chiude, con quell’immagine stiracchiata delle Larghe Intese, di cui i nuovi capi vanno sparlando ma dove i nostri eroi stanno ineluttabilmente andando a finire.
Le denominazioni "destra" e "sinistra" - le due parti opposte nell'arena politica - nascono in Francia durante la Rivoluzione francese. Il momento iniziale si fa risalire alla seduta di fine agosto 1789, quando viene in discussione nell'Assemblea nazionale l'articolo della dichiarazione dei diritti dell'uomo che riguarda la libertà religiosa.
Ma c’è un esempio più contemporaneo: in una nazione islamica moderna, uno spettro politico può essere definito in base alla visione del ruolo del clero nel governo. Quelli che ritengono che il clero debba avere il potere di far applicare integralmente la legge islamica vengono collocati su un estremo dello spettro, mentre quelli che sostengono una società completamente secolare si trovano all'estremo opposto; tutti quelli che hanno visioni più moderate possono essere collocati all'interno di questi due estremi.
Oggi pare essere prossima l’occasione quando verrà in discussione nella nuova assemblea nazionale la questione etico-religiosa – e dunque, complice o testimone, ancora la religione.
Stalin?
Eccolo:
“Noi viviamo senza avvertire sotto di noi il paese / i nostri discorsi non si sentono a dieci passi di distanza, / ma dove c’è soltanto una mezza conversazione / ci si ricorda del montanaro del Cremlino. / Le sue grosse dita sono grasse come vermi / e le sue parole sicure come fili a piombo. / Ridono i suoi baffi da scarafaggio, / e brillano i suoi gambali. / Intorno a lui c’è una masnada di ducetti dal collo sottile / e lui si diletta dei servigi dei semiuomini. / Chi fischietta, chi miagola, chi piagnucola / se soltanto lui ciarla o punta il dito. / Come ferri da cavallo egli forgia un ukaz dietro l’altro, / a uno l’appioppa nell’inguine, a uno sulla fronte, / a chi sul sopracciglio, a chi nell’occhio. / Non c’è esecuzione che non sia per lui una cuccagna”.
Chi ne parla così è un giovane poeta della più rara intelligenza e della più dolce tenerezza d’animo, Osip Mandel’stam: aveva già detto che colui che eleverà le parole e le mostrerà al tempo, come un sacerdote mostra il pane eucaristico, diventerà un secondo Gesù Nazareno. Era lui, difatti, il nazareno, è stato, difatti, anche crocifisso alle persecuzioni di Stalin, finché è morto – non riconosciuto, non riconoscibile - in un gulag.
Questioni di estetica.
Ha fatto fuori uno così, Stalin, tanti così, centinaia così… una criminalità sviluppata sui due lati, quelli della quantità con i genocidi in massa dei contadini, quelli della qualità con gli assassini degli intellettuali, dei poeti e degli artisti. Majakovskij aveva già tentato di scrivere che si sentiva come una fabbrica sovietica che produce felicità, e però ha dovuto tragicamente constatare che la vita quotidiana era rimasta indietro: così ha dovuto suicidarsi.
Mao?
Fallita l’estetica dei cento fiori e delle cento scuole, scatenandosi la diversità in seno al gruppo dirigente, Mao fa la Rivoluzione culturale affidando il potere direttamente alle Guardie Rosse, gruppi di giovani, spesso adolescenti, che mettevano in piedi dei propri tribunali. Portarono alla distruzione di molto del patrimonio culturale della Cina, ivi compresi migliaia di antichi monumenti, accusati di retaggio della borghesia.
Nasce il Libretto Rosso, formato tascabile, perché doveva essere portato nella tasca superiore della giacca, modello mao: era nata la giacca maoista.
Con Lenin l’arte era già degradata all’estetica della rotella e della vitina. Mao cita Lenin e dice che l’arte dev’essere una rotella o una vitina nel meccanismo generale della rivoluzione. E’ l’estetica delle citazioni che porta al libretto rosso e alle guardie rosse.
E’ quando arrivano all’estetica che le rivoluzioni diventano pericolose, si fanno cattive e disposte alle stragi: dalla ghigliottina ai lager ai gulag…
Renoir l’aveva detto, quando si tratta di arte sotto c’è qualcosa di losco.
Per Roland Barthes, quando si arriva all’estetica, è la catastrofe.
Che sia la trasfigurazione?
Salvatore Fazia